sabato 30 aprile 2011

EDUCAZIONE: ok comandi chiari, ma il cane è più intelligente di quel che pensiamo...


Tra le tante perverse cose che Frodo ha dovuto imparare vivendo con noi c’è il significato della parola BRAVO. Questa viene usata per fargli i complimenti quando fa qualcosa come andrebbe fatta, e lui, anche quando pretende d’essere indifferente, é visibilmente compiaciuto di questi "sviolinamenti" che spesso sembrano essergli più graditi del più delizioso dei bocconcini. A maggior ragione se “bravo” viene detto a lui e non ad un altro cane che sia presente alla scena.

Tanto per fare inorridire qualsiasi educatore cinofilo che si rispetti, o forse semplicemente per la forza di perversione implicita nella natura delle cose, "bravobravo" è divenuta la parola convenuta quando si annuncia a Frodo che viene lasciato (a casa, di fronte ad un bar o negozio, nell’angolino di una libreria, in albergo). Ogni buon istruttore vi dirà che occorre impartire al cane “comandi precisi e non ambigui” e dunque usare la stessa parola per designare due cose che più antitetiche non si può: un premio ed una "punizione", è quanto di più sbagliato si possa fare.

Non è che volessimo fare gli anarchici, solo che finché abbiamo razionalizzato il tutto, la frittata era già bella che fatta.

Quanto a lui, il cane, ci ha mostrato ancora una volta quanto la sua intelligenza sia versatile e plastica. Quando gli annunciamo che deve fare il bravobravo perché usciamo senza di lui la reazione è immediata, casca a terra come un salame, le zampe all’aria come se stroncato di colpo. Non c’è una volta che sbagli reazione. Ancora non mi è chiaro come faccia a distinguere il significato di questo bravobrao, dal BRAVO detto come premio per qualcosa di ben fatto. Sa leggere correttamente il contesto degli avvenimenti e non confonde mai le due cose anche se il BRAVO complimento è ripetuto BRAVOBRAVO; di più, lui sa che quello è un complimento persino se glielo sussurro con tono di voce simile a quello dell’abbandono.

Dunque non è neppure il solo tono delle parole, ma egli interpreta “contesto, suono, i nostri gesti ed il nostro linguaggio del corpo” e sa senz’ombra di dubbio a cosa ci riferiamo. Piccole magie quotidiane.

sabato 23 aprile 2011

Il cane sul letto


Tra gli educatori cinofili non si trova un punto di accordo. No dicono i "gerarchici", il letto è il posto in alto, ambito anche più del divano, ed il nostro cane che sa di essere un subordinato deve sapere che quello non è il suo posto. Per il no ci sono ovviamente gli igienisti. I quartieristi, per cui il cane non può avere accesso neppure alla camera da letto. Ed ancora i “morbosisti” quelli che ritengono che il cane sul letto non ci debba dormire ad evitare un attaccamento eccessivo e morboso nei confronti del padrone. Quelli del si alzano spallucce e dicono che in realtà si tratta di una pratica innocente che non fa né bene né danno.

C’è probabilmente un pizzico di vero in ciascuna delle posizioni citate, ma a mio parere, occorre guardare caso per caso. Eviterei il letto per un cane eccessivamente geloso o ansioso nei confronti del padrone, ma nemmeno lo sbatterei fuori dalla camera da letto. Non violenterei mai un’igienista obbligandolo a dormire con il “contaminato” peloso. Il quartierista dovrebbe fare almeno un eccezione quando il cucciolo gli arriva in casa ad evitare che si senta solo e spaesato ed abituarlo gradualmente a gestire i suoi spazi.

Lo so che ve lo state chiedendo, che vi brucia in punta di lingua..... e Frodo? Frodo, inaspettatamente per me che ero schifiltosina parecchio e ben avviata sulla strada dei “quartieristi”, avrebbe libero accesso anche al letto, ma troppo caloroso ci sale solo al mattino per la sveglia. Intendiamoci, siamo fortunati, dormire in 3 sarebbe fisicamente impossibile date le dimensioni di ciascun componente del terzetto, occorrerebbe acquistare un King-Size o costringere Giovanni nella cameretta..... Meno male che non occorre scegliere, per il momento.

sabato 16 aprile 2011

Paura del cane? Si può superare.



Qualche giorno fa è venuta in negozio una cliente cui Frodo si è avvicinato per la rituale annusatina. Lei ha fatto un sobbalzo ed io ho invitato Frodo a tornare al suo posto, capendo che quell’avvicinamento non era gradito. La cliente mi ha poi confessato di essere stata vittima di uno spiacevole episodio con un cane quando era piccola, e che da allora la sua paura per i cani non ha fatto che crescere fino a divenire una schiavizzante fobia.

Fino a quando non ha poi deciso di prendere di petto la situazione e rivolgersi ad un
educatore cinofilo che piano piano le sta insegnando a capire ed interpretare il linguaggio dei cani. Ha conosciuto un piccolo meticcio (salvato dopo l’ennesima storia di abbandono, da questo educatore), e con lui sta imparando piano piano a “rapportarsi” con un animale.

“Un tempo a vedere il tuo cane libero in negozio avrei trovato una scusa per andare via immediatamente.” Ed invece abbiamo chiacchierato, abbiamo visto i prodotti cui era interessata ed infine ci siamo salutate.

Ammiro tanto chi riesce ad affrontare le proprie paure, a capire che non sono gli animali (o l’oggetto della nostra fobia) ad essere sbagliati, ma il nostro rapporto (o mancato rapporto) con loro, occorre r
imettersi in discussione, e quando questo riguarda la sfera emotiva e più irrazionale le cose si fanno più difficili. Con intelligenza è andata al cuore del problema cercando la figura più adatta, una persona che con i cani lavora tutti i giorni, ma che è stato altrettanto disponibile ed aperto da non “sminuire” le sue paure, ma le ha concesso tutto il tempo necessario per “avvicinarsi agli animali” e capire quelle ritualità così diverse che creano “problemi di comunicazione”.

Che dire? Ben fatto, bravi, a tutti e due, anzi tre, meticcio incluso!

sabato 9 aprile 2011

Amor proprio o cane permaloso?


C’è un segnale convenuto che dice a Frodo che è ora di andare: il mio dirimpettaio che abbassa la saracinesca del suo negozio.  A quel punto Frodo, che sulle scale ha dormito, o preteso di dormire, fino a quel momento, alza lo sguardo e mi fissa fino a che non mi vede compiere a mia volta le operazioni di chiusura.  Quando infine mi dirigo verso la porta, dà sfogo al suo entusiasmo contenuto fino a quel punto, precedendomi, girandomi attorno ed invitandomi al gioco.
Qualche giorno fa, dovendo partecipare ad una riunione dei commercianti del centro storico gli ho sussurrato “Frodo, torno subito fai il bravo-bravo” lui si è bloccato ferito e nella più devastante delle interpretazioni da attore consumato si è lasciato cadere a terra a zampe alzate come se colpito in pieno petto.  “bravo-bravo” è la più terribile delle notizie che io possa dargli, significa rimanere solo, e soprattutto essere escluso da “un’uscita”.  
Ieri qualcosa nei miei gesti lo ha preavvertito.  C’era un leggibile rischio che la cattiveria si ripetesse, mi studia più guardingo, alza la testa mentre faccio le mie ultime operazioni ma non si alza, poi quando vado nel retro del negozio, mi segue e non mi precede.  Decido di evitargli l’angoscia dell’incertezza e gli comunico che ebbene sì dovrà fare il bravobravo.  Prima si ripete la solita scena con lui paralizzato a zampe all’aria che si passa la lingua impastata sulle labbra come se per il dolore non riuscisse neppure a deglutire.  
Torno davanti ed il moribondo è sparito.  Lo cerco e lo trovo al suo posticino sulla sua copertina.  Non viene a salutarmi, ci mancherebbe, io lo abbandono e lui impermalosito sta lì e fa finta di niente “Va pure via, io sono un cane forte ed indipendente”.  Anche questo è un rito che si ripete ogni volta che a casa gli annunciamo che usciremo senza di lui, si va a stendere al suo posticino e se può cerca di voltarci le spalle.  
Quando ritorno lo trovo esattamente dove lo ho lasciato, ma un cane può essere permaloso ma non prova mai rancore e mi accoglie con infinite feste e baci, in tutta la sua gioia mi precede verso la porta per essere certo che stavolta non sarà “abbandonato” di nuovo, e con contegno felice da cucciolo dimentica persino quel suo forte senso d’amor proprio.

sabato 2 aprile 2011

ADOZIONE O ALLEVAMENTO 3: le gioie dell'adozione.




Naturalmente, si era presa un cane. All’inizio aveva deciso per un gatto pensando che, visto che sembrava lanciata a precipizio verso un’eccentrica zitellagine, avrebbe dovuto cominciare ad equipaggiarsi. Ma quando era arrivata all’ASPCA, la società che si occupa della prevenzione delle crudeltà contro gli animali, aveva visto un vecchio cane, un grosso pit-bull incrociato, così bianco da sembrare quasi rosa, una femmina che scodinzolava con un tale pessimismo che l’aveva portata a casa con sé.  L’aveva chiamata Beatrice, malgrado avesse giurato di non darle un nome da umano, trovandola una cosa bizzarra e particolarmente patetica per una donna senza figli.  Ma il cane le sembrava meritare un nome vero. Beatrice non era giovane. L’ASPCA l’aveva trovata mentre vagava per le strade del Bronx. Quasi morta di fame e coperta di pulci, era palesemente sopravvissuta  un’esistenza difficile. Beatrice era un nome con una sua intrinseca dignità, e Jody pensava che la vecchia cagna lo meritasse.  (...) 
Si fidava di chiunque, e questo testimoniava la sua natura gentile, visto che fino all’incontro con Judy, nessuno aveva mai meritato la sua fiducia. Ma Beatrice sembrava essere superiore alle brutture del mondo, ed esse a loro volta sembravano indegne di lei.  Aveva visto molto, sembrava dire, perciò nulla la sorprendeva più, nulla la spaventava, nulla la turbava.  Era fortunata di essere viva, e ne sembrava consapevole.  (...)
E sorrise del suo destino.  Aveva preso Beatrice otto mesi prima, otto mesi di compagnia ed adorazione reciproche.  Quando si sentiva sola, guardava Beatrice.  Quando aveva bisogno di qualcuno con cui parlare, parlava con Beatrice.  Jody era convinta che la sua vita, sebbene per gli standard consueti fosse tutt’altro che completa, sarebbe andata benissimo.
Poi Jody conobbe Everett e si innamorò....”
Perché contrariamente a quel che si pensa i nostri animali più spesso ci fanno aprire al mondo anziché chiuderci.... Splendido libro in cui vite di cani e di bipedi si incrociano casualmente in semplice quartiere newyorchese, e gli incontri, si sa, ci cambiano.